Nel numero precedente ho elencato una serie di questioni che mi ripromettevo di chiudere – almeno temporaneamente – nel numero di oggi. Mentre organizzavo il discorso mi sono reso conto però che il bilancio tra sintesi e intelligibilità si stava rivelando fallimentare: troppi concetti in troppo poco spazio. Mi è venuta in mente una vignetta di – mi pare – Rich Tennant in uno dei vari manuali “for dummies” (Linux, prima o seconda edizione?) di molti anni fa in cui un uomo è alle prese con una laboriosa farcitura del tacchino per la Festa del Ringraziamento e commenta: “Questo mi ricorda quando ho cercato di installare Windows 95 sul mio 386”. Apparsa l’immagine nella mia mente, perseverare in quell’approccio è diventato impossibile. Inizia quindi oggi la serie di approfondimenti su “Vero/Falso” partendo dal primo dei temi elencati nel numero 9: le sensopercezioni. Come sempre, anche questo filone verrà alternato agli altri e a numeri più estemporanei.
“Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. Lo afferma irremovibile – e anche un po’ puntiglioso – san Tommaso in Gv 20, 25.
Chissà cosa deve essere passato per la testa del povero Tommaso in quel frangente: gli amici che ama e di cui si fida riferiscono che Cristo è risorto, che è stato lì pocanzi, che ci hanno parlato; ora si trova a decidere se questa informazione possa essere vera, quanto la fonte sia attendibile, se il contenuto è plausibile. Deve formulare, in sintesi, un complicato giudizio di realtà. Possibile che gli Apostoli mentano? Che si siano confusi? O saranno forse usciti del tutto di senno? La loro versione, alla fine, non è sufficiente: Tommaso non crederà se non potrà toccare con mano.
Scosse da un’apparizione inspiegabile, le guardie di Elsinore cercano conforto l’una nei sensi dell’altra: la certezza di aver visto la stessa cosa, lo spettro del Re, mitiga la possibilità che siano matti. Ma non è facile convincere Orazio il quale – assente come Tommaso alla prima apparizione – ha bisogno, anch’egli, di vedere coi propri occhi (Amleto, Atto I Scena I):
Orazio – T’è apparsa ancora quella certa cosa, questa notte?
Bernardo – No, non ho visto nulla.
Marcello – Orazio dice che son fantasie, e lui non si farà suggestionare da quella paurosa apparizione venuta a noi due volte. L’ho convinto perciò a restar con noi per tutto il nostro turno di vigilia, così che se dovesse ancor tornare quella visione, possa egli far fede ai nostri occhi e parlarle…
(…)
Bernardo – Ebbene, Orazio? Sei pallido e tremi… Che dici adesso? Ti sarai convinto ch’era più che una nostra fantasia.
Orazio – Giuraddio, non ci avrei creduto mai, senza la prova fisica, palpabile, dei miei occhi…1
La nostra conoscenza delle cose passa in gran parte attraverso le parole degli altri: se dovessimo affidarci sempre e soltanto alla nostra esperienza diretta, del Mondo sapremmo ben poco. Impariamo presto a fidarci – ma quasi altrettanto presto impariamo che ciò che ci viene detto può essere incompleto, impreciso, male interpretato o anche semplicemente falso. Di ciò di cui abbiamo esperienza diretta, invece, non dubitiamo: ciò che tocchiamo, vediamo, ascoltiamo in prima persona è davanti a noi e lo cogliamo nel suo spontaneo offrirsi ai nostri sensi: certo, sicuro, solido.
Va detto che i sensi sono, effettivamente, molto convincenti:
Abbiamo l’impressione che funzionino in modo immediato: riteniamo che lo stimolo sensoriale, nel suo istantaneo tradursi in un corrispondente dato dell’esperienza, abbia un carattere intrinseco di obiettività.
Descrivono bene il mondo condiviso: vediamo e sentiamo tutti le stesse cose. L’amaro è amaro per tutti e così il dolce; tutti distinguiamo il verde dal rosso; se una porta sbatte poco distante, tutti i presenti ne sentono il suono.
Le eccezioni agli esempi appena riportati sono riconducibili a un malfunzionamento dell’organo di senso (il daltonismo, la sordità etc.) e dunque spiegabili sia dall’individuo che dalla collettività: nessuno mette in dubbio, neanche per un momento, la realtà di un oggetto solo perché un cieco non riesca a vederlo – nemmeno il cieco stesso.
Così radicata è questa nostra convinzione che per chi vede o sente cose che gli altri non vedono o sentono si fa largo il più terribile dei sospetti: la follia.
Sensazione e percezione
Tra il VI e il V secolo scrive però già Eraclito che “gli occhi sono testimoni più attendibili delle orecchie” (“ὀφθαλμοὶ γὰρ τῶν ὤτων ἀκριβέστεροι μάρτυρες”): per dire che un senso è più attendibile di un altro occorre implicitamente ammettere che nessuno dei due sia completamente infallibile.
La “classifica” dei sensi è del resto un tema ricorrente nella filosofia antica; i sensi di “prossimità” sono generalmente considerati meno importanti di udito e vista – e fra questi ultimi due la seconda ha un valore precipuo. Pur senza alcuna nozione di neurofisiologia, alcune tradizioni neoplatoniche colgono anzi una questione interessante. Scrive Raffaele Simone ne La Terza Fase:
In alcune versioni (…) si distingue allora tra due diverse vie di senso: una esterna, corporale, e una interna, dell’anima. Così abbiamo due diversi occhi: quello esterno (del corpo), che vede le cose in modo analitico e inguaribilmente approssimativo, e quello interno (dell’anima), che le coglie tutte d’un colpo, in una conoscenza fulminea e perfino visionaria. Allo stesso modo avremo un orecchio corporeo e uno interiore. Quest’ultimo è l’unico vero, dato che è il solo in grado di cogliere la voce incorporea della coscienza.
Nel fare questa distinzione, si separa un aspetto strettamente funzionale e analitico da uno sintetico e integrato nella coscienza. È, questa, una descrizione sorprendentemente esatta di quanto accade in realtà.
Il processo che conduce dallo stimolo sensoriale alla esperienza soggettiva è infatti complesso e – contrariamente a quanto espresso al punto 1 dell’elenco sopra riportato – tutt’altro che im-mediato. Si distinguono infatti due momenti, parti di un unico processo e strettamente intrecciati l’una all’altro:
Il primo (la sensazione) è sostanzialmente passivo: include i meccanismi che iniziano con lo stimolo sull’organo di senso e che procedono in maniera piuttosto automatica. Per esempio la luce attraversa la cornea, l’umor acqueo, il cristallino, il vitreo e raggiunge la retina, la quale traduce attraverso l’attivazione di coni e bastoncelli lo stimolo luminoso in segnale elettrico.
Man mano che lo stimolo passa attraverso le successive e sempre più complesse (e integrate) vie nervose, il cervello inizia a scomporre e ricomporre l’immagine, a discriminarne il contenuto, a distinguere il movimento, a isolare forme e colori, a confrontare quanto percepito con il bagaglio di oggetti noti in modo da ri-conoscerli. Il processo diventa quindi via via sempre più attivo (la percezione).
Le due fasi non sono separate nettamente, cosicché l’intero processo si indica usualmente con il termine unitario di sensopercezioni. Anche queste ultime, a loro volta, non sono separate nettamente dalle altre funzioni superiori con le quali, al contrario, devono collaborare e interagire.
Gli strati fisiologici delle sensopercezioni sono tanti e non è scopo di questo articolo elencarli tutti. Ci basti sapere che man mano che saliamo verso strutture più complesse e più prossime alla coscienza aumentano la raffinatezza dell’elaborazione e l’influenza di funzioni superiori quali l’esperienza, la capacità associativa, la configurazione cognitiva, persino la personalità. In altre parole, aumenta l’attività del cervello per integrare lo stimolo sensoriale nell’esperienza sì da consentire una risposta comportamentale adeguata: è una cosa nuova? una cosa nota? è una minaccia o una risorsa? come mi devo orientare per relazionarmici?
La selezione degli stimoli
Questi processi non servono solo a rappresentare in modo fruibile l’oggetto sensopercepito: al contrario, il più delle volte servono proprio a ignorarlo. Il mondo è pieno di stimoli di ogni genere e per non saturare le nostre capacità di elaborazione non è efficiente dare a tutti la stessa rilevanza. Gli stimoli considerati inutili vengono confinati ai margini se non addirittura al di fuori del campo di coscienza. L’attenzione mette a fuoco ciò su cui ci dobbiamo concentrare e sposta il resto sullo sfondo.
Quando facevo ancora lezione (in un’aula della trafficata piazza della Repubblica a Roma), dopo aver introdotto il tema di cui discutiamo oggi restavo improvvisamente in silenzio. Dopo un lungo attimo (in cui lasciavo intenzionalmente gli studenti perplessi) chiedevo loro chi si fosse accorto del motorino che passava lontano, del camion in strada, del colpetto di tosse di un collega, della porta di un bagno che cigola, dello zirlare di un merlo sull’albero di fronte (anche chi legge queste righe può fermarsi un momento, concentrarsi esclusivamente sul proprio udito, magari a occhi chiusi, e provare a notare suoni che c’erano anche pochi secondi fa ma di cui vi era poca o nessuna coscienza).
Faccio presente che le risposte dei miei studenti erano le più varie, e non dipendevano esclusivamente - come vedremo sotto - da quanto fossero concentrati o distratti.
Personalità e contesto sociale
Torniamo ai vari strati di questa attività psichica. Lascio intenzionalmente da parte tutti i ragionamenti sui livelli “inferiori”, dei quali però è facile trovare ampia esemplificazione in Rete. Mi riferisco ai vari giochi percettivi, alle pareidolie, alle figure ambigue (i dipinti di Arcimboldo o i disegni di Escher, i giochi prospettici, le illusioni ottiche) e, perché no, anche la storia di “The dress”2 che tanto ha diviso il Web.
Segnalo anche, per chi non lo conoscesse e volesse divertirsi per un paio di minuti, l’esperimento del 1999 che chiede di contare il numero di volte in cui una palla viene passata fra alcuni giocatori di basket:
Consideriamo invece alcune componenti di livello superiore (omettendone molte altre: non parlerò infatti di teoria della Gestalt, di quelle di taglio cognitivista né tantomeno di quelle costruttiviste). Per brevità e chiarezza, uso le parole di Galimberti (grassetti miei):
Esistono personalità sensibili alle differenze che emergono nel campo percettivo (accentuatori) e personalità meno sensibili (livellatori). I primi, a differenza dei secondi, rivelano disagio in ogni situazione “aperta”, e tendenza a “chiudere” le strutture percettive e a mantenerle costanti eliminando ogni sorta di ambiguità. Nei loro giudizi sono rigorosamente dicotomici (vero/falso, buono/cattivo), rifiutando ogni via di mezzo anche sul piano percettivo.
Sempre a proposito di personalità troviamo altre due distinzioni. La prima, riguarda l’organizzazione del campo percettivo rispetto al corpo:
Si distinguono i soggetti dipendenti dal campo che poggiano la loro percezione esclusivamente sui dati offerti dal campo visivo, e i soggetti indipendenti dal campo che organizzano il campo visivo facendo riferimento soprattutto alla posizione cenestesica del proprio corpo. Dal punto di vista psicologico si è constatato che i primi, a differenza dei secondi, hanno scarsa fiducia in se stessi, paura dei propri impulsi e mancanza di autostima.
La seconda riguarda invece l’elasticità della soglia percettiva:
Lo stesso dicasi per i soggetti sensibili allo stimolo subliminale che mostrano caratteri di flessibilità e tolleranza, rispetto a quelli insensibili che rivelano un carattere più rigido, più ansioso con meccanismi di difesa accentuati.
Per quanto possa sembrare strano, molte sperimentazioni hanno determinato con discreta certezza che persino il contesto sociale può incidere sulle funzioni percettive:
Esperimenti hanno dimostrato che un individuo muta le proprie percezioni quando è inserito in un gruppo di “complici” dello sperimentatore che danno valutazioni diverse; se ne deduce una tendenza ad avvicinarsi alla norma proposta dalla maggioranza.
Su questo ultimo aspetto potremmo dedurre che siano più percettive persone con minore propensione a omologarsi o a compiacere gli altri – e non avremmo torto. Ma va considerato che in un’epoca come la nostra – che premia e incoraggia continuamente un malinteso senso di originalità e fiducia in se stessi – chi identifica se stesso come originale, indipendente e non omologato è il più delle volte proprio più soggetto a questi condizionamenti. L’appartenenza a una sottocultura o l’avere convinzioni astruse non sono quindi affatto indicatori incoraggianti in questo senso, anzi.
Trovare (o non trovare) il bandolo della matassa
Scrive Merleau-Ponty, che della percezione ha fatto il cardine della propria ricerca fenomenologica:
Poiché siamo al mondo noi siamo condannati al senso e non possiamo fare nulla e dire nulla che non assuma un nome nella storia.
La nostra tendenza spontanea è quindi quella di far quadrare i conti, di estrapolare un significato da ciò che percepiamo anche laddove non ce ne sia uno evidente (e il mondo, spesso, non ha un significato evidente). Quel che mi preme far emergere qui è che ciò vale già su un livello che consideriamo meccanico come la percezione, molto prima di arrivare a livelli psichici superiori quali il giudizio o il pensiero (di cui parleremo più avanti in dettaglio).
Da quanto scritto poco sopra risulta inoltre un altro fatto importante: la necessità di “chiudere” l’interpretazione (e cadere in valutazioni rigide, dicotomiche, indiscutibili) non ha a che fare con l’intelligenza: è più una questione di personalità. Non ne sono esenti quindi persone brillanti, studiosi illustri, famosi scienziati. Sono premesse di una migliore prestazione percettiva l’apertura, la flessibilità, la tolleranza alla sospensione e alla complessità di quanto lo sia l’intelligenza – almeno per come comunemente questa viene intesa.
C’è un altro punto, che lascio aperto. L’esperienza di oggi presenta una difficoltà in più (o in meno, secondo la prospettiva) rispetto a quella degli antichi greci. Scrive Paolo Rossi in 1632. Galileo, la Terra, la Luna:
Vedere, nella scienza del nostro tempo, vuol dire quasi esclusivamente interpretare segni generati da strumenti.
Molto di ciò che percepiamo nella vita quotidiana passa attraverso uno schermo; molto di ciò che osserviamo scientificamente del mondo passa attraverso uno strumento. Tutto ciò può essere tecnicamente più “esatto”, ma non necessariamente più facile da percepire.
A man capable of being in uncertainties
Voglio concludere con una citazione di Keats per me fondamentale per questo discorso – e per gli altri che seguiranno – sulla Negative Capability (mio grassetto):
I had not a dispute but a disquisition with Dilke, upon various subjects; several things dove-tailed in my mind, and at once it struck me what quality went to form a Man of Achievement, especially in Literature, and which Shakespeare possessed so enormously – I mean Negative Capability, that is, when a man is capable of being in uncertainties, mysteries, doubts, without any irritable reaching after fact and reason.
Grazie per l’attenzione,
Cristiano M. Gaston
Una pillola di psicopatologia
Può essere utile, a corredo del numero di oggi, una brevissima pillola di psicopatologia. Come spesso capita, per capire bene come funziona una cosa vale la pena di vedere cosa succede quando questa non funziona.
Le dispercezioni, ovvero i disturbi delle sensopercezioni, sono di quattro tipi:
L’illusione è la percezione errata di un oggetto che c’è (davanti a me c’è un cane, ma io lo vedo come un mastino infernale che emette fuoco dalle narici e mi ringhia contro).
L’allucinazione è la percezione di un oggetto che non c’è (stesso esempio di prima, ma senza il vero cane). Contrariamente a quanto si può pensare, nelle psicosi sono molto più frequenti le allucinazioni uditive di quelle visive.
La pseudoallucinazione è la percezione di qualcosa che non c’è ma che è proiettata nello spazio interno anziché in quello esterno. Spiegare questo concetto richiederebbe più tempo quindi mi limito a un esempio: la sensazione di avere dei topi che si muovono nello stomaco.
L’allucinosi è una allucinazione che viene criticata: contrariamente alle dispercezioni precedenti, il soggetto vittima di allucinosi è consapevole che ciò che percepisce non è reale. Questa condizione è quasi sempre di origine organica (metabolica, tossica, neurologica, neoplastica etc.).
Benché il più delle volte tutto ciò sia di interesse psichiatrico, le ho volute elencare perché i primi due fenomeni sono possibili nella vita di ogni giorno e farne esempio può essere utile per comprendere maggiormente il numero di oggi.
Quando stiamo aspettando ansiosamente una persona, può capitarci di vedere per un istante in mezzo alla folla il suo volto – e in quell’istante lo stiamo vedendo veramente. A differenza di chi è affetto da una patologia psichica, nel giro di una frazione di secondo il nostro cervello corregge l’errore; ma nel frattempo ci rendiamo conto di aver già iniziato un movimento di saluto o di aver quasi intrapreso un passo. L’immagine che il nostro cervello ha presentato alla coscienza – seppur brevemente – è completamente falsa.
La seconda dispercezione fisiologica è quella che rientra nelle allucinazioni cosiddette ipnagogiche e ipnopompiche, ovvero quelle che si presentano all’inizio o al termine del sonno. In quella fase di ingresso o uscita dal dormiveglia è possibile, per esempio, sentire una voce che ci chiama, avvertirla distintamente, anche risponderle credendola vera. Ebbene, quello non è il trascinarsi di un sogno ma una vera e propria, per quanto estemporanea, allucinazione.
Bibliografia
Eraclito, Frammento 101a.
Galimberti, U., Nuovo Dizionario di Psicologia, “Percezione”, Feltrinelli, Milano 2018, pagg. 895 sgg.
Keats, J. (1899). The Complete Poetical Works and Letters of John Keats, Cambridge Edition. Houghton, Mifflin and Company, 2008, pag. 277.
Merleau-Ponty, M., Fenomenologia della Percezione, il Saggiatore, Milano, 1972, p. 29.
Rossi, P., 1632. Galileo, la Terra, la Luna (2009), Laterza, 2013.
Shakespeare, W., Amleto, Atto I Scena I.
Simone, R., La Terza Fase, Laterza, 2000, pag. 7.
MARCELLUS – What, has this thing appear’d again to-night?
BERNARDO – I have seen nothing.
MARCELLUS – Horatio says ’tis but our fantasy, and will not let belief take hold of him touching this dreaded sight, twice seen of us: therefore I have entreated him along with us to watch the minutes of this night; that if again this apparition come, he may approve our eyes and speak to it.
(…)
BERNARDO – How now, Horatio! You tremble and look pale: is not this something more than fantasy? What think you on’t?
HORATIO – Before my God, I might not this believe without the sensible and true avouch of mine own eyes.
Bianco e oro, per me, a dispetto di ogni prova contraria.