È passato un anno dall’apertura di questa newsletter. Pensavo che, esauriti i miei due-tre cavalli di battaglia, avrei presto finito gli argomenti. Il tempo trascorso dall’ultimo numero, decisamente superiore al consueto, è invece dimostrazione del contrario: gli ultimi mesi sono stati talmente “pieni” di temi su cui ragionare da disorientarmi, soprattutto considerando che uno come me ha bisogno di tempi lenti di riflessione e (ohimè) anche di scrittura. Ho quindi un elenco sempre più lungo di caselle da spuntare.
Dicembre è sempre un mese impegnativo; l’influenza ha poi dato il colpo di grazia alla mia ambizione di pubblicare un numero di fine anno. Rimandando i bilanci ad altra data, ripiego oggi su un “ripescaggio”: si tratta dell’editoriale scritto nell’ottobre del 2020 per BombaCarta che mi sembra, a rileggerlo adesso, anche più adatto a questa sede che all’originale. Viene riproposto con alcune limature rispetto alla versione precedente.
Buona lettura e Buon 2024.
“Ah, Cindy Sondheim, saresti dovuta nascere in un’altra epoca”, commenta nostalgico l’improbabile Conte Dracula di Amore a primo morso mentre l’amata Cindy manda giù due Xanax con l’aiuto di un bicchiere di champagne.
Le cose erano più semplici, meno complicate. Sai quante donne hanno avuto un esaurimento nervoso nel Quattordicesimo Secolo? Due.
Più semplici, meno complicate.
Meno conoscenze, meno informazioni da elaborare e – al posto loro – una rassegnata fiducia nella Provvidenza, unico argine a una serie di iatture (pestilenze, guerre, calamità) sulle quali si aveva un controllo modesto.
E meno responsabilità: ancora felicemente ignari delle teorie di Freud che ci avrebbero regalato un po’ di autoconsapevolezza, sì, ma anche molti esaurimenti nervosi.
Le avrebbero complicate, le cose, già certi personaggi del Seicento – Galileo, Keplero, Newton, Leibniz… – che sul metodo, sulla matematica e sulla verifica sperimentale hanno fondato i principi ancora validi del metodo scientifico.
Il “linguaggio segreto” della Natura (la matematica) e il suo alfabeto (i numeri) perdono così le loro connotazioni astratte (magiche, cabalistiche, alchemiche, speculative…) e si scoprono dotati di nuove possibilità euristiche: la techne (termine che indica ambiguamente scienza, arte e artigianato) si condensa definitivamente in sola scienza tout-court grazie alla comparsa del dato: l’ente discreto e indivisibile su cui fondare nuove certezze.
Da complicato a semplice e viceversa
Ma i dati aumentano così come aumentano le loro relazioni, che devono essere innanzitutto causali. Non è possibile pensare a una “cartografia” dell’esistente in un rapporto di 1:1 (come per la mappa borgesiana in “Del rigore della scienza”1): abbiamo bisogno di riduzioni, di sintetizzazioni, di estrapolazioni. Cerchiamo trends e patterns che ci guidino verso risposte – le quali, avendo però a che fare con le decisioni, finiscono per essere spesso inevitabilmente binarie.
Troppi dati e il mondo diventa, appunto, terribilmente complicato. Torniamo con la mente a quell’epoca non complicata e la immaginiamo barbara e superstiziosa, ma anche semplice. Pensiamo di aver rinunciato a un po’ di innocenza in cambio però di una indistruttibile sicurezza nelle nostre scelte – e questo alla sola condizione di seguirne i rigidi protocolli.
Eppure.
Eppure in questo nostalgico atto di memoria è rimosso il ricordo che Keplero non nascose mai i propri rapporti con la tradizione ermetica e col misticismo pitagorico; che Leibniz reincorporava, seppur in maniera nuova, temi della magia rinascimentale; che Newton stesso, di cui rimane una mole sconfinata di pagine sull’alchimia, fu definito da Lord Keynes negli Anni Trenta (non a torto) “l’ultimo dei maghi”.
Questa omissione non è frutto di malizia né un intenzionale falso storico: semplicemente non sappiamo come integrare queste informazioni con le altre, non comprendiamo come si possa formulare la legge della gravitazione universale e allo stesso tempo essere convinti di star disvelando antichi misteri egizi.
Paradigmi, ancora paradigmi
Racconta Carlo M. Cipolla in Miasmi e umori (grassetti miei):
La storia della medicina in Europa dalla fine dell’età classica agli inizi dell’età contemporanea è la curiosa storia di un paradigma teorico fondamentalmente sbagliato che purtuttavia riuscì a dominare e condizionare il pensiero medico per una sequela di secoli eccezionalmente lunga. Come e perché un paradigma totalmente erroneo continuasse per secoli a dominare incontrastato il campo della scienza medica è e resta uno dei più affascinanti problemi della storia culturale dell’Europa. Una parte della spiegazione sta nell’elegante semplicità e nella rigorosa logica e coerenza interna del modello teorico. Personaggi di spiccata intelligenza, di indiscussa razionalità e di acuto senso di osservazione non mancarono tra i medici dell’Europa dei secoli XII-XVIII. E purtuttavia anche personaggi di notevole calibro intellettuale non osarono mai mettere in dubbio il paradigma umorale-miasmatico così nitido, logico e coerente e così autorevole per vetustà e tradizione. Osservazioni fattuali corrette vennero ripetutamente fatte e registrate, ma per un perverso meccanismo quanto venne correttamente osservato non servì a mettere in dubbio la validità del paradigma prevalente ma venne dialetticamente adattato al paradigma stesso a sua ulteriore riprova.
Fino a tutto il XVIII secolo, mentre in Toscana si adottavano misure di sanità pubblica di eccezionale modernità, mancava una nosografia che distinguesse una “febbre” da un’altra (delle malattie contava sostanzialmente che fossero o non fossero peste); e se ci è facile capire come non si potesse immaginare l’esistenza della Yersinia pestis, più difficile è accettare che il ruolo dei vettori – topi e pulci, così platealmente e direi intrusivamente visibili – non fosse neanche considerato in favore del potere contagioso dei “fetori”.
Gadamer ci ricorda
la naturale ingenuità che ci farebbe giudicare il passato secondo le misure così dette ‘evidenti’ della nostra vita attuale…
ai danni di un senso storico che è
la disponibilità o il talento di comprendere il passato, talora anche a partire dal contesto dal quale esso nasce.
Ciò su cui la frase di Gadamer dovrebbe metterci in vero allarme però è che la stessa “naturale ingenuità” ci riguarda anche – se non di più – nella capacità di comprendere dell’oggi.
Ci convinciamo di aver raggiunto l’agnosticismo filosofico, di aver sposato la santità del dato scacciando per sempre il demone del pregiudizio. Riteniamo con un filo di superbia di non poter incorrere negli errori di Keplero che, come scrive Paolo Rossi ne Il tempo dei maghi,
insistette più volte, con incredibile tenacia, a cercare dati che si adattassero a immaginose ipotesi metafisiche e servissero a confermarle.
Questa, beninteso, è una generalizzazione che non si applica al procedere scientifico così come andrebbe oggi inteso (che avanza con scrupolo, apertura mentale, curiosità): ma è una tentazione sempre più evidente di fronte a una società civile desiderosa di rassicurazioni semplici più che di risposte complesse. E in tanta ignava ratio, o “cattiva scienza”, che applica formule a dati incerti o parziali nella fretta di fornire quella risposta binaria2 di cui abbiamo bisogno e che in fin dei conti è sempre la stessa dai tempi della Sibilla: morirò in guerra o tornerò a casa?3
Complesso o complicato
Il mondo di oggi è più complicato di quello di ieri e quello di domani lo sarà più di oggi; ma non è più complesso: ora come allora occorre la capacità di fermarsi, fare un passo indietro staccando il naso dalla tela per intuire un disegno che a volte si percepisce solo da lontano. Occorre la capacità di dire “non lo so” (o anche solo “non lo so ancora”), sopportando la tensione dell’incertezza e resistendo alla tentazione della scorciatoia.
E occorre anche la forza per tollerare i finali aperti, incerti, quelli che sembra vogliano dirci qualcosa ma in una lingua che non conosciamo.
Grazie per l’attenzione,
Cristiano M. Gaston
Bibliografia
I tesi citati in questo numero:
Cipolla, C. M., Miasmi e umori, Bologna, 2012
Gadamer, H. G., Il problema della conoscenza storica, Napoli 1974 (1963).
Rossi P., Il tempo dei maghi, Milano, 2006
Alcuni altri consigli di lettura:
O’Neil C., Weapons of Math Destruction, New York, 2016
Bergstrom C. T., West J. D., Calling Bullshit: The Art of Skepticism in a Data-Driven World, New York, 2020
Huff D., How to Lie with Statistic, New York, 1991
Broussard M., Artificial Unintelligence: How Computers Misunderstand the World, Cambridge (MA), 2018
“In quell’Impero, l’Arte della Cartografia giunse a una tal Perfezione che la Mappa di una sola Provincia occupava tutta una Città, e la mappa dell’impero tutta una Provincia. Col tempo, queste Mappe smisurate non bastarono più. I Collegi dei Cartografi fecero una Mappa dell’Impero che aveva l’Immensità dell’Impero e coincideva perfettamente con esso.”
O, se mi è concessa una punta di malizia, quella pubblicazione scientifica utile alla carriera.
E, come la Sibilla, troppo spesso ricombiniamo i dati a disposizione (ibis – redibis – non – morieris – in – bello) in modo che appaia il vaticinio desiderato.